“Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra” (Gv 11, 39). Questo passo evangelico sembra la sintesi di quanto stiamo vivendo in questo tempo. Chiusi in casa, lontani dal nostro lavoro o studio, lontani dalle parrocchie, sospesi in relazioni virtuali: è come se davanti alle nostre vite fosse stata posta inaspettatamente una pietra, un grosso macigno, e quanto ci circonda diventa cupo e pesante. La malattia, la solitudine, la morte e la sofferenza generate dalla pandemia, sembrano non far entrare nelle nostre vite neppure un raggio di luce. Ma ciò non vuol dire che la luce non ci sia. La nostra vita si illumina se compiamo un salto: radicare la quarantena nel tempo santo della Quaresima. Quaranta giorni che aiutano a spostare la freccia delle nostre giornate dalla morte alla vita, la vita che risorge.
In questo spirito e seguendo le direttive diocesane e del nostro parroco don Marco a proseguire con le attività parrocchiali, si è deciso di continuare ad accompagnare i giovanissimi verso la Pasqua. Ma questo “passaggio” si compie per gradi, di domenica in domenica, assaporando i Vangeli del periodo quaresimale, che ci parlano di un esodo, di un’uscita. I nostri giovanissimi chiedono di uscire, non solo per riabbracciare i loro amici. Vogliono fare un salto, dalla mediocrità ad una vita nuova e piena… di luce. Questo è il segno che sta accompagnando i nostri incontri (virtuali).
Un primo passo è quello di trovarsi faccia a faccia con ideali e pretese di essere altro da sé, diversi perché sbagliati, nella convinzione che si possa così vivere finalmente quella vita che si sognava. Il primo esodo allora è saltare fuori da quelle tentazioni, che non danno libertà. Il secondo esodo: niente è per caso nella vita di ciascuno. Ogni occasione, anche la più dolorosa, può essere una luce che dà calore, che trasfigura. Ma il cammino di quaresima/quarantena è lungo, e capita di essere assetati… ma c’è una sete che solo l’incontro con il Figlio di Dio può placare. Il terzo esodo è lasciare l’anfora a terra come la donna samaritana, per attingere alla fonte d’acqua viva, ad un pozzo che zampilla di vita eterna. Quarta domenica, quella detta lætare (“gioia”). Come gioire in un tempo di fatica? Qui i nostri occhi iniziano ad essere liberati dalla cecità, dal buio, dall’opacità, per vedere finalmente la luce. Ecco che il quarto esodo insegna che in realtà sono i ciechi a vedere, perché guardano la propria vita dal punto di vista di Dio, perché il luogo della propria malattia può diventare occasione di grazia: così si diventa testimoni, “inviati”. Ultimo salto, quello più difficile, risorgere dalla morte. Ma questo non tocca a noi, è Dio a concederlo, proprio come è avvenuto nella vita di Lazzaro. Gesù ci chiama dalla tomba, dice a ciascuno “vieni fuori”… ma la fatica del quinto esodo è proprio togliere quella pietra. Questo è il salto più grande per fare Pasqua.
Ogni salto, ogni esodo non è a sé. Tutto si intreccia in un cammino quotidiano. Ecco perché da due settimane, ogni giorno i giovanissimi, ricevono un breve messaggio, un piccolo seme, la buona notizia della Parola, che accompagna nella fede, consola, illumina: prepara alla Pasqua.
A cura di Roberta Gambardella
Educatrice V° ACG