Alle donne d’Italia Armida ha dato testa, cuore e piedi per uscire fuori dalle case in cui erano confinate e trovare la competenza e la forza di annunciare il Vangelo. Con la sua azione strenua la Barelli ha liberato forze generative di Vangelo in ogni classe sociale e in ogni condizione di vita, dimostrando che il Risorto sceglie ciò che è ultimo per mostrarsi.
Ma il centro dell’azione di questa donna è stata la spiritualità del Sacro Cuore di Gesù, che le ha dato una fede incarnata. Le parole e i gesti di Armida sono stati sempre di grande concretezza, hanno parlato e mostrato la carne viva del Cristo, non un fantasma o un angelo disincarnato, ma il Signore che sceglie l’umanità e la redime, restituendole la pienezza con cui l’ha creata. Nell’umanità di Cristo Armida ha servito l’umanità ferita; contemplando il mistero dell’Incarnazione ha amato la storia e le ha dato il segno dell’eternità: la speranza. Ha proposto ai laici un modello di impegno nella Chiesa e per il mondo rispettoso della loro vocazione battesimale, una forma di laicità impegnata ma mai disincarnata, che ama il mondo – ma, direbbe Papa Francesco, non la mondanità – e lo serve perché capace di scorgere in esso i segni del Regno che il Signore ha già messo. Da qui il compito della riparazione, l’offerta di sé per riparare le offese al Signore della vita e l’intensa spiritualità eucaristica, che è capacità di dono, di condivisione, di amore per la quotidianità in cui giace il senso dell’eterno e si coltiva la vera profezia, fatta, talvolta, di cose straordinarie.
Armida ha indicato anche una postura per i laici e forse per tutta la Chiesa: quella ‘agile e perseverante del pellegrino’, come indicano gli Orientamenti triennali dell’Azione Cattolica. Una postura necessaria a chi cammina nella storia non cercando di scansarsela ma entrandoci interamente, come ha fatto il Signore; il pellegrino conosce abbastanza la strada ma non del tutto, si apre alla novità, all’incontro con gli altri, si accompagna a chiunque incontra, senza fare gruppetti elitari, ha uno zaino leggero e soprattutto, pur mettendo in cantiere deviazioni e soste non programmate, ha una meta. Il suo andare non è un vagabondaggio ma un pellegrinaggio.
Armida continua ad indicare anche uno stile alla Chiesa: quello della cura delle relazioni. Di questo l’Azione Cattolica ha fatto un baluardo fin dalle origini, scegliendo la forma dell’associazione. La vocazione dei soci e dei responsabili non è solo laicale, ma laicale nella forma associata, il che significa che la cura delle relazioni, della comunità è nel DNA associativo e si nutre dei luoghi di esercizio che l’associazione mette a disposizione: i gruppi ma soprattutto i consigli a tutti i livelli, le assemblee, e tutte le occasioni di vita unitaria che mettono in dialogo le generazioni. Una dinamica associativa che vive e respira grazie ai ‘si’ di tante persone che se ne assumono la responsabilità moltiplicandone la bellezza, seppur nella fatica. Lo stile della sorella maggiore ha assunto questa caratteristica: Armida non ha avuto la vocazione del battitore libero, ma quella del mettere insieme e coordinare: per questo è riconosciuta come sorella; maggiore, s’intende, perché più matura e tesa alla meta, ma non madre. Armida è con le altre, non a capo delle altre. E quanto sia difficile mantenere lo stile della fraternità per chi è costituito a compiti di coordinamento, lo sperimentano bene tutti i responsabili di Azione Cattolica che sanno che il loro posto è a fianco e non al centro o a capo.
Infine, Armida testimonia un estremo ed estenuante modo di amare il popolo di Dio: questo il senso della sua popolarità. Con gli strumenti della cultura popolare quali i fogli di comunicazione, ha innalzato le possibilità di pensiero, di riflessione, di conoscenza per tante persone, in modo che non restassero ‘buone alla buona’, ha coltivato così la vera cultura, quella che si riconosce dall’umiltà (humus) e che coltiva l’umano perché sia secondo il disegno del Signore della vita; ha fatto così cultura popolare, mettendosi a fianco e talvolta sotto, lasciando alle cattedre e ai palcoscenici le elucubrazioni astratte e disincarnate che generano vuoto e mancanza di senso.
Armida nella diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia
La Casa di spiritualità ‘Armida Barelli’, donata alla diocesi dall’Opera della Regalità, fu creata negli anni ’60 come Oasi di spiritualità, secondo il volere di Armida che desiderava consegnare alle persone accoglienti luoghi di preghiera. È l’unica nell’Italia meridionale e ve ne sono in tutto il mondo. Per realizzarla occorsero la donazione del terreno da parte della marchesina Ferri e la dedizione di Adele Scandone.
Le spoglie mortali di Marta Moretti sono custodite presso il Monastero di S. Paolo a S. Agata dei due Golfi. Dopo anni intensi nella gioventù femminile di Bologna, Marta fu incaricata da Armida di aprire nuovi circoli nell’Italia meridionale, dove l’opera si presentava di particolare difficoltà a causa della condizione femminile. Lo strenuo impegno della Moretti portò in cinque anni frutti copiosi; in seguito ella realizzò la sua vocazione benedettina diventando monaca e sostenne l’opera di rifondazione del monastero di S. Paolo a Sorrento con la medesima dedizione e grazie all’esperienza maturata nella GF.
Dal notiziario di Azione Cattolica di aprile/maggio 2022.